
I percorsi di Jgor, psicoterapeuta
Di professione psicologo e psicoterapeuta, lavora soprattutto con i bambini e sulla relazione con i loro genitori.
Lui è Jgor*. L’ho incontrato durante un convegno a Torino e gli ho chiesto di fare un po’ di chiarezza tra tutte quelle professioni “psi-”: psicologo, psichiatra, psicoterapeuta. Perché forse Te lo sarai chiesto anche Tu: cosa distingue queste professioni tra loro? Come puoi sapere se e quando Ti serve contattare una figura o l’altra?
Allora, in pratica,
▪ Chi sono questi professionisti? Cosa fanno per noi, qual è il percorso e quali sono i requisiti indispensabili?
▪ Quale aspetto del suo lavoro trova utile condividere con noi in questa #VitaDaProfessionista?
(Come hanno fatto anche Elisa e Sabina).
E lui ha risposto così.
Chi fa cosa e come
Quando parlo del mio lavoro riscontro parecchia confusione in chi mi ascolta: quindi, sì, volentieri provo a fare un po’ di chiarezza su questo sfaccettato mondo di figure professionali che si occupano, a vario titolo, di salute mentale.
Parto con
la professione dello psicologo
- Frequenta un corso di studi universitario della durata di 5 anni e, con la laurea, diventa dottore in Psicologia
- Ha poi un Esame di Stato da superare per ottenere l’abilitazione alla professione e quindi effettuare interventi psicologici. Soltanto così ottiene il titolo di psicologo
- Lo psicologo abilitato entra a far parte di un Ordine Professionale che serve a tutelare sia la professione (sancita dalla legge n. 56 del 1989) sia i pazienti attraverso un codice deontologico che lo psicologo è tenuto a rispettare.
A differenza di quello che ho sentito spesso nell’immaginario comune, la professione dello psicologo non nasce in ambito clinico. Voglio dire che il cliché “lo psicologo cura i matti” non è affatto corretto: la psicologia nasce in laboratorio con l’obiettivo di aumentare la conoscenza sull’uomo – e non di curarlo.
Uno dei padri fondatori è Wilhelm Wundt (1832 -1920): tra i primi scienziati a stabilire criteri oggettivi per spiegare il comportamento umano.
Quindi, per esempio, fa parte della psicologia, lo studio
- dei processi mentali delle persone (cognizione, emozioni, comportamenti)
- delle dinamiche relazionali del singolo in rapporto all’ambiente
- di come si strutturano ed evolvono le comunità di persone, le società, i gruppi
- degli ambienti di lavoro, la selezione e l’orientamento
- di come funziona l’attività cerebrale complessa.
Oltre a studiare questi campi, lo psicologo aiuta le persone, i gruppi e le comunità a superare momenti di difficoltà attraverso l’individuazione delle radici e la ricerca delle risorse necessarie per la risoluzione.
Lo psicologo può poi collaborare con un altro professionista.
E qui introduco
la professione dello psichiatra
- Frequenta un corso di studi universitario della durata di 6 anni e, con la laurea, diventa dottore in Medicina
- Con il superamento dell’Esame di Stato ottiene il titolo di medico-chirurgo e l’abilitazione alla professione
- Con un percorso ulteriore di 4 anni si specializza in Psichiatria.
Lo psichiatra si occupa di adulti con sofferenze mentali anche gravi e, in quanto medico, può somministrare farmaci.
Quando lo psichiatra si occupa della salute mentale dei bambini si chiama neuropsichiatra infantile: il percorso è lo stesso dello psichiatra (e anche lui può somministrare farmaci), ma la specializzazione dei 4 anni è in Neuropsichiatria infantile.
Sia lo psicologo sia il medico – con o senza specializzazione – possono accedere a un percorso formativo specifico di 4 anni.
Arrivo così all’altra professione:
la professione dello psicoterapeuta
Questa qualifica dà gli strumenti per aiutare le persone con sofferenze esistenziali e relazionali, anche gravi, non riconducibili ad alcuna patologia organica.
A differenza dello psicologo (che aiuta chi ha già “le risorse”), lo psicoterapeuta non solo aiuta la persona a comprendere l’origine del malessere, la aiuta anche a strutturare risorse assenti o a rinforzare quelle carenti che le servono per risolvere il problema.
La psicoterapia è un mondo vasto, composto da diversi approcci.
Accenno soltanto che il mio modello di riferimento è la Terapia della Gestalt.
In breve qui posso dire che lo psicoterapeuta compie un lavoro più profondo e che richiede più tempo rispetto a quello dello psicologo.
I percorsi di Jgor, psicoterapeuta
Nello specifico del mio lavoro, sono psicologo e psicoterapeuta dell’età evolutiva: significa quindi che lavoro con bambini e adolescenti, sia in percorsi individuali sia di gruppo.
Aiuto a superare
- difficoltà esistenziali che incontrano lungo la crescita: come per esempio il rapporto con i compagni di classe, la motivazione allo studio, il rapporto con i genitori, la gestione di ansia e stress
- difficoltà specifiche e più circoscritte come gli incubi notturni, l’enuresi (“pipì a letto”), l’oppositività e l’isolamento per esempio
- sofferenze più profonde come disturbi legati all’autismo o alla comunicazione, o quelli da deficit di attenzione e iperattività.
Il mio modello di lavoro si basa sulla creazione di una relazione alla pari: una relazione Io-Tu in cui entrambi siamo soggetti e non c’è un esperto che giudica o dirige: ci sono 2 persone di cui almeno una, il terapeuta, corre il rischio di
stare in relazione in modo autentico senza maschere sociali
Con questo termine intendo i ruoli che impariamo a crearci durante la nostra crescita, a partire dall’adolescenza, e che portiamo avanti nella nostra vita perché ci consentono di proteggere la nostra parte più intima.
Per intenderci, è ciò che, per esempio, ci fa comportare in modo differente a seconda che il nostro interlocutore sia uno sconosciuto piuttosto che un caro amico.
Fin qui tutto bene, perché in questo modo salvaguardiamo il nostro essere (il nostro sé) dalle ferite.
Le maschere sociali possono però diventare un problema quando perdiamo la capacità di usarle in modo flessibile, quando perdiamo la capacità di adattamento.
Il mio obiettivo è che la persona – bambino, adolescente o adulto – ne diventi consapevole per recuperare la flessibilità relazionale, invece di riproporre in modo rigido gli stessi schemi comportamentali che creano circoli viziosi.
Mi spiego meglio con un esempio
Pensiamo a un bambino che impara a essere dispettoso perché soltanto così riesce a ricevere le attenzioni dei genitori.
Certo si tratta di rimproveri e punizioni, ma per un bambino qualcosa è sempre meglio del nulla, soprattutto da un punto di vista relazionale.
Adesso questo bambino ha imparato uno schema che riproduce in altri ambienti: per esempio a scuola.
Così diventa fastidioso, dispettoso con gli altri bambini che, invece di sgridarlo, si allontanano e lo isolano sempre di più.
Ecco che l’esito delle sue azioni lo fa sentire solo e bisognoso di attenzioni. Ma irrigidito in quella modalità, non potrà fare altro che perseverare e via via aumentare il livello del suo comportamento perché è l’unica strada che conosce.
Quindi questo bambino ha bisogno di sperimentare delle alternative, di esplorare le proprie paure e difficoltà e di ritrovare la perduta flessibilità relazionale.
Nel mio lavoro cerco di fornire al bambino un partner relazionale che lo aiuti a fare tutto questo e come strumento principe ho scelto il gioco. Infatti
grazie al gioco posso affrontare temi profondi
con il bambino e con l’adolescente: possiamo parlare di noi stessi con la possibilità di “difenderci” laddove emergessero questioni troppo faticose o emozioni di difficile gestione perché ci ricordiamo che in fondo “stiamo solo giocando”.
Svolgo queste attività presso il Centro Clinico multiprofessionale Kaleidos: un luogo che ho fondato insieme ad altre colleghe per fornire una presa in carico complessa di minori e famiglie.
Ogni percorso è diverso dall’altro perché ognuno ha una propria specifica soggettività e mette in campo dimensioni relazionali con sfumature personali che non si ritrovano in nessun altro. In questo quadro così ampio e variopinto del modo in cui svolgo il mio lavoro ho comunque una costante:
il supporto alla genitorialità
Significa che nel percorso che intraprendo con il bambino includo anche i genitori.
Dal mio punto di vista i genitori sono la più grande risorsa che un figlio possa avere perché sono presenti in modo significativo nella sua vita e costituiscono il suo punto di riferimento.
A volte, però, la sofferenza nasce proprio in seno al rapporto genitori-figlio: in questo caso ha ancora più senso e importanza creare un intervento complesso e articolato.
Mi pongo come obiettivo di aiutare i genitori a comprendere la sofferenza del figlio, anche quando viene espressa in modo aggressivo, oppositivo o svalutante, con il fine di costruire una collaborazione consapevole che vada nella direzione di promuovere il benessere del nucleo familiare.
Non vuol dire che se genitori e figli litigano qualcosa non va: tutt’altro, soprattutto quando i figli sono adolescenti.
La relazione tra i genitori e i figli – quando è sana – è una relazione pulsante che attraversa alti e bassi e che produce una crescita da entrambe le parti. Quando il bambino diventa adulto anche i genitori sono cambiati grazie a un meccanismo di reciproco influenzamento.
Quando invece è presente una rigidità
- o da parte dei genitori che si aspettano dai figli un determinato comportamento o una determinata condotta – bloccati nelle loro aspettative
- o da parte dei figli che si oppongono acriticamente ai genitori e creano una sempre maggiore distanza – bloccati nelle loro paure
allora la relazione non è più nutriente: diventa depauperante, impoverisce.
A quel punto perdono entrambi. Perdono la possibilità di vivere pienamente una delle relazioni più importanti della vita, perdono quel tassello insostituibile, nel bene e nel male, della nostra personalità.
E questo è proprio quello che cerco di far evitare con il mio lavoro 🙂
* Jgor Francesco Luceri